Fondamentali del business


Ivano Concas Ivano Concas

Dal volume N° 47

Non si può non manipolare

 

 

Titolo forte, eh? Ma fa parte del gioco, o meglio dello scopo che voglio raggiungere con questo articolo. Ovviamente è la parafrasi del famosissimo primo assioma della comunicazione di Paul Watzlawick “Non si può non comunicare”: anche in silenzio, anche senza espressioni facciali, anche senza movimenti o particolari posizioni del corpo, anche nudi (ebbene sì!), inviamo comunque un messaggio a chi ci sta di fronte.
Ma il sempre acceso dibattito sul venditore che ti intorta e ti manipola per convincerti a comprare qualcosa, e soprattutto quella frangia moderata di guru che parla di etica nella vendita, escludendo tutte le immorali manovre di lavaggio del cervello, mi hanno convinto ad approfondire il tema e sentenziare alla fine che: non si può non manipolare.
Per il “bene” di chi?
Ho adorato, sottolineato e divulgato per parecchio tempo la definizione etimologica della parola “persuasione” trovata nel libro La nobile arte della persuasione di Giorgio Nardone: “portare soavemente a sé”. Ma poi l’ho denaturata dall’eccesso di zucchero, scomposta nei suoi ingredienti e analizzata accorgendomi che anche quella è manipolazione. Portare l’altro a me, anche se “soavemente”, significa comunque smantellare dalla sua testa una convinzione e ficcarci la mia. Il farlo “soavemente”, cioè non violentemente, non toglie che, come un virus, sto entrando in un sistema biologico per stabilirmici e mettere su famiglia.
E non ci sarebbe nulla di male se lo scopo fosse elevato: “Oh, lo faccio per il tuo bene, eh? Cioè, ammetto che è il mio lavoro e che anch’io ci guadagno qualcosa, ma sarai soprattutto tu a guadagnare da questo acquisto”, entrando nella famosa spirale del win-win che tanto piace ai comunicatori etici, come se fossero le intenzioni elevate a fare della persuasione una cosa buona e giusta.
In cuor suo, nessuno può arrogarsi detentore della verità, quindi nessuno può sentirsi un benefattore nell’opera di qualsivoglia forma di divulgazione delle proprie convinzioni.
Se hai letto il capolavoro Nudge – La spinta gentile di Thaler e Sunstein ti sarai innamorato anche tu dell’ossimoro con cui viene riassunto il messaggio dell’opera: “paternalismo libertario” che significa “so che la tua idea è sbagliata e voglio che tu faccia come ti dico, ma nel rispetto della tua libertà di scelta”; se vogliamo è una cazzata ancora più grande del “portare soavemente a sé”, ma qui almeno l’intenzione è rappresentata da quel soggetto che potremmo chiamare “il buon padre di famiglia” (già ai tempi del diritto romano veniva citato questo epico cavaliere dell’onestà) cioè colui che, a differenza di quello del concetto win-win, non guadagna nulla dal convincerti a fare una cosa, ma è semmai totalmente concentrato sul tuo bene. Però restiamo abbracciati allo scivoloso palo del concetto “il tuo bene”, cosa talmente oscura o inconscia (approfondiremo più avanti) che pare nessuno possa dire di conoscere.
Ed effettivamente potrebbe essere “paternalismo libertario” il testo "Il fumo uccide!" stampato sui pacchetti di sigarette, salvo poi creare confusione nella mente del fumatore per il contrasto tra il messaggio e la sua libera vendita. Invece il vero paternalismo libertario è occulto all’utente che non si deve rendere conto di essere manovrato.
E il punto è proprio questo: la confusione che abbiamo costantemente nella mente, l’accozzaglia e la lotta intestina tra ciò che siamo convinti sia giusto, ma non facciamo, e ciò che invece è il male assoluto a cui purtroppo cediamo così spesso da non accorgercene neanche più.
È irrazionalità.
Ne parleremo più avanti, ma nel frattempo ammettiamolo, diciamolo ad alta voce tutti insieme: “Sono irrazionale!”. Ripetiamolo. Ripetiamolo, ripetiamolo e ripetiamolo ancora. Ammettere una debolezza è sempre il primo passo.


“Ma allora anche esprimere la più banale delle opinioni diventa un’aggressione alla libertà di pensiero degli altri?”
Certo che no. Il problema di fondo è la tecnica con la quale cerchiamo approvazione. Ad esempio, citare le storie di successo della nostra azienda e parlare delle selling proposition dei nostri prodotti sarebbe etico se citassimo anche i casi di insuccesso e i punti deboli. E se avessimo il coraggio di farlo scopriremmo quanto nel medio e lungo periodo questa onestà è in grado di costruire inscalfibili reputazione e credibilità.


“Ma allora anche se faccio solo una semplice domanda per capire qualcosa sul cliente lo influenzo?”
Certo! Anzi, influenzi e inquini il pensiero altrui ancora di più con le domande che sentenziando le tue opinioni.
È un fenomeno conosciuto come “mere-measurement effect”, dimostrato dagli dai sondaggi di marketing. Prova a pensare alla presentatrice del centro commerciale che ti chiede: “Ha intenzione di iscriversi in una palestra quest’anno?” Ti ha fatto una semplice domanda, ma dentro di te è già scattato un turbinio di pensieri, tra i quali: “Perché lo chiede proprio a me? Sono grasso? Sono flaccido? Dovrei fare un po’ di sport?” E prima ancora che la presentatrice ti riversi addosso l’eccezionale offerta valida solo per oggi (leggi di più su queste tecniche di persuasione tra gli scritti di Robert Cialdini), alla successiva domanda “Quando pensava di iscriversi?” ti avrà messo un’ansia addosso talmente grande che, solo iscrivendoti a quella benedetta palestra, riuscirai a calmarti!
Quindi, se stavi pensando che sei un onesto venditore consulenziale che prima indaga sui bisogni del cliente e poi propone la sua soluzione (ma solo se ce l’ha), sappi invece che anche solo indagando stai in realtà manipolando.


“Ma allora esiste un modo etico di vendere, senza tecniche di persuasione, manipolazione, plagio?”
Fino a questo punto parrebbe di no. Ma un aiuto ce lo potrebbe dare la filosofia, che è l’unica scienza (o para-scienza) che contiene migliaia di anni di migliaia di studiosi in brain-storming su interrogativi di questa natura. E l’unica forma etica di vendita è quella che rispetta il libero arbitrio del cliente.
Per scegliere coscienziosamente, di cosa ha bisogno il cliente?
Di opzioni!
Non ci sarebbe scelta, se non ci fossero opzioni.
Quindi allarga la mente, studia la concorrenza, studia il tuo prodotto, studia le sue applicazioni, studia il tuo mercato di riferimento. Solo come professionista preparato sulle opzioni disponibili sul mercato sarai in grado di aggiungere la tua nel menù del cliente.
Ma ci sono alcune difficoltà: ricordi quanto detto sull’irrazionalità? Ebbene la si può marcare e dribblare sapendo quali sono le sue origini. E la neuroscienza ci ha dato recentemente un aiuto enorme nello studio di quella che abbreviamo come irrazionalità ma che più naturalmente dovremmo chiamare “umanità”. Perché essere umani significa tenere in equilibrio istinti, emozioni e logica. E non è assolutamente facile. Sulle emozioni e la logica è importante capire che funziona come nella frasetta che dico sempre a mia figlia: “Papà comanda, ma mamma decide”. A comandare, nelle vendite professionali, è sempre la logica, attraverso un processo di elaborazione delle informazioni che vengono acquisite "drogate" dalle emozioni. E le emozioni possono essere una barriera, un filtro o un vero e proprio amplificatore.
Ma andiamo per ordine: quali sono le barriere? Quali i filtri? Quali gli amplificatori?


ABBATTERE LE BARRIERE
La barriera più ostica è non avere il coinvolgimento del cliente. Avere sempre la sua massima attenzione e sconfiggere le distrazioni è fondamentale. Ottenerlo non è però facile…
Non potendo controllare il vortice di pensieri, preoccupazioni e urgenze nel cervello del cliente, possiamo solo fare in modo di mantenere alta la sua attenzione attraverso contenuti interessanti ed utili per lui e soprattutto uno stile di conversazione con periodiche richieste di conferma del suo pensiero che lo tengano concentrato sull’argomento. Come scritto sopra, del concetto win-win al cliente non interessa nulla: è il protagonista che resta attento solo fino a quando gli parlate di lui e dei suoi interessi.
Per questa ragione è importante fare sempre selezione degli argomenti che fanno presa sul singolo interlocutore, sul suo ruolo, su ciò che gli provoca “dolore” e sui suoi criteri di decisione.
• Usa frasi brevi e con costrutto grammaticale semplice: sarai sempre sicuro di essere compresi.
• Cerca, poi, di sintonizzarti sul suo stile di linguaggio, sfruttando meglio i suoi schemi di pensiero per trasmettergli concetti complessi e visioni d’insieme. È comunicazione.
• Qualunque astrazione è deleteria: sii concreto e pragmatico.
• Considera sempre che siamo esseri multimediali e non ci bastano le chiacchiere: per tenere alti l’attenzione e l’interesse del cliente prepara e sfrutta presentazioni con semplici grafici, immagini potenti e se possibile filmati in grado di schematizzare e semplificare la comprensione di complessi concetti tecnici.
• Ricorda sempre che l’80% di ciò che sarà ricordato dal cliente è all’inizio della presentazione e alla sua fine: ecco perché sono estremamente critici l’esordio della presentazione e il suo riepilogo finale, poco prima della call-to-action (richiesta di impegno del cliente).


BUCARE I FILTRI
I filtri sono quel magico modo che abbiamo tutti di porre attenzione a ciò che già conosciamo, a ciò in cui già crediamo. Il resto siamo soliti “bloccarlo” alla porta (o alle orecchie), sia per dissonanza che per diffidenza. Anche qui una conoscenza preventiva della vita personale e professionale dell’interlocutore sarebbe risolutiva. Non potendo contare così spesso in una conoscenza così profonda, è sempre meglio esplorare il terreno prima di sentenziare qualunque cosa. Interpretiamo la realtà facendo un grande uso delle esperienze vissute e qualunque svalutazione delle credenze del cliente (convinzioni, pregiudizi) porterebbe alla sua critica chiusura. Il minimo contrasto con le credenze del cliente deve essere affrontato solo se siamo in grado di dimostrare la veridicità di quanto stiamo dicendo.
Il cliente conosce le sue opzioni e si confronterà con te immediatamente su ogni singolo dettaglio di ciò che gli proporrai. Mettiti nei suoi panni e anticipa i paragoni che farebbe rispetto alla concorrenza, cercando anzitutto di individuare quali sono i suoi strumenti di misura.


AMPLIFICARE I MESSAGGI
Hai mai osservato i cartelli pubblicitari in attesa di clienti? Recitano inutili claim come “Spazio libero” (bene, viva la libertà!) oppure “Tuo per 2,5 euro al giorno” (wow, quanto cappuccio e brioche!). Pensa invece se ci fosse scritto “E se qui ci fosse la tua azienda?” Oppure: “Immagina di vedere qui la tua attività”. Non sarebbe tutta un’altra cosa per il potenziale cliente che la vede? Questo è quello che intendo per amplificatore del messaggio: trasferire visioni che suscitano emozioni.
L’euforia del possesso di un bene o della soluzione di un problema nasce prima ancora del suo acquisto: genera quell’euforia nel cliente. Rileggi questo concetto se non sei sicuro di averlo compreso, perché è importante e, come ho scritto sopra, la conclusione di una presentazione, ma anche di un articolo, è fondamentale…