Storie dei lettori


Alberto Aleo Alice Alessandri Alberto Aleo Alice Alessandri

Dal volume N° 31

Elogio dell'incoerenza

Nel 1990, quando mi sono iscritto per la prima volta all’università, avevo quasi 18 anni, un’idea nebulosa del mondo e del mio futuro. Sapevo solo che mi piaceva disegnare, mi piacevano i lavori antichi e artigianali, quelli dove usi delle cose e passi il tempo chinato sugli oggetti.
Della professione di architetto mi affascinava il nome, così italiano, così fuori tempo
in un’epoca già dominata dagli ingegneri e dall’elettronica. Nei cinque anni di studi ho amato l’odore della grafite, il rumore della lametta che gratta via l’inchiostro sulla carta lucida, gli strumenti da disegno dalle fogge strane e le notti passate a disegnare e reinventare il mondo con il mio amico e compagno di studi Federico. Ma non c’era solo quello a darmi la certezza che fosse la mia strada. Scoprii che quella dell’architetto era in effetti una delle pochissime professioni veramente umanistiche rimaste. Intendo “umanistiche” secondo l’ideale rinascimentale, cioè in grado di promulgare quell’uomo universale, di stampo leonardesco, che sa di scienza e di arte, di tecnologia e di filosofia, incrocia saperi e da questo ne ricava una nuova e più alta conoscenza.

Se guardo al mondo del marketing di adesso e alla figura del venditore, mi rendo conto che questo ideale è quello che oggi molte aziende perseguono nel formare il perfetto commerciale. Al tempo però non potevo saperlo, anche perché in quegli anni il marketing era esagerazione, rottura e visibilità a tutti i costi, molto lontano quindi dall’immagine pensosa e intellettuale di un architetto. Il mio corso di studi proseguì virando per il design e poi da lì verso il marketing, approdando finalmente agli studi economici classici. Per molti anni il percorso della mia carriera universitaria è rimasto così arzigogolato da sembrare coerente solo ai miei occhi.
Un architetto prima di iniziare un progetto visita i luoghi dove l’edificio sorgerà, ascolta le persone che lo abiteranno, studia la storia e analizza il contesto ricavando dalle linee, dagli archi e dai fregi che lo compongono un’idea del suo genius loci che poi gli servirà per disegnare. Prima però di appoggiare la matita sul foglio, “sente” che effetto gli fa tutto questo “valore” che ha scoperto e lo confronta con la sua idea, con il suo senso estetico, con le sue esperienze sia come progettista che come abitante di spazi. Incrocia insomma l’anima del luogo con la sua, compiendo uno scambio di valore che è simile a quello che dovrebbe avvenire tra clienti e venditori. Quando il
progetto è compiuto, un architetto non lo abbandona, ma lo segue nella sua realizzazione curandone i dettagli e verificando che quel valore immaginato, quell’innovazione arrivino più intatti possibili dentro le vite di chi acquisterà quella casa. Nel fare ciò, compie un processo di management, esprimendo leadership e confrontandosi con altre professioni, così come ancora una volta succede a chi vende quando ad esempio deve coordinare il lavoro dei colleghi che entrano nella gestione del cliente. Poi finalmente la casa nasce e la vita la popola e la trasforma, appropriandosene. L’architetto esce di scena e i “suoi” spazi smettono di essere solo suoi, ma si animano grazie ad altri e proprio per questo continuano a produrre valore in modo inaspettato, non previsto dal progetto. Avviene anche nella vendita, quando i clienti spontaneamente generano nuovo valore per noi, per se stessi e per gli altri,
attivando il passaparola positivo, tornando ad acquistare e partecipando attivamente ai nostri processi commerciali.

Per tutte queste ragioni, studiando architettura ho imparato il management e il marketing, ma soprattutto ho imparato come indagare, scovare, generare e condividere il valore: una lezione che ogni venditore etico dovrebbe aver cura di apprendere.

Adesso, dopo molti anni dall’inizio dei miei studi, posso dire di aver definitivamente capito che ciò che voglio fare è l’architetto, non d’interni o di spazi però, ma di relazioni tra cliente e azienda, di strategie commerciali e di mercati.

Se mi guardo intorno, non vedo solo architetti che si occupano di marketing; vedo anche laureati in informatica che diventano esperti di comunicazione interpersonale (è il caso di Alice Alessandri, mia moglie); neo dottori in economia che s’innamorano del design, come è successo a nostro figlio Riccardo; promettenti sciatori che diventano imprenditori; ingegneri che si scoprono cooperatori, tanto per citare alcune delle storie che vi raccontiamo su diariodiunconsulente.it.

Dedico a loro questo articolo, ricordando a tutti che non esiste una sola strada per iniziare a portare valore nella nostra vita e in quella degli altri. L’originalità del vostro cammino costituisce già di per sé una ricchezza, in grado di generare consapevolezza e conoscenza del tutto nuovi: donatevela e donatecela senza timori.